partita in tv:qualità contro spazzatura
innovazioni rivista di cultura politica edita da polis n.5 2005
scorrendo i canali televisivi si viene avvolti da un grande vuoto pneumatico, ma si tratta un vuoto che non è vuoto, anzi è colmo di spazzatura ben incartata, quasi a formare un muro di contenimento impenetrabile. e’ difficile trovare qualcosa che accenda interesse o passione, che turbi o che ispiri o almeno che informi, e, nemmeno nel divertimento, una risata che lasci una traccia.
volando all’estero, ad una prima occhiata, la scena si ripete, lo stesso paesaggio senza connotati, senza identità nazionale; le lingue sono diverse, ma i dialoghi sono noti, si sa già cosa dicono. le facce, da un canale all’altro, hanno identiche espressioni, abiti uniformi, gesti ripetuti, modalità prestampate.
la televisione è madre o figlia o ancella della globalizzazione? un destino inesorabile sembra avvolgerci: non più lo spettro della nostra infanzia, il comunismo caserma, uguaglianza di misere paghe ed obbedienza ideologica, ma un’altra prospettiva, allettante e perversa, la produzione galoppante, che aumenta a dismisura, comportando uguaglianza di bassi consumi, sottomissione pubblicitaria e inquinamento totale.
la televisione è il messaggero di questa nuova marcia che, sepolte le barbute ideologie novecentesche, ci inebria di deodoranti che impediscono di avvertire l’odore pungente del sudore, ci fa dimenticare la nostra natura madida di umani. accoglie, conforta e sviluppa l’inerzia di alcune nostre sacche interiori, le rende omogenee volando di casa in casa.
così è in tutto il mondo, dicono i programmisti delle reti televisive, e noi come potremmo essere diversi? allargano le braccia, rassegnati: il grande pubblico non vuole la qualità, quindi bisogna adeguarsi ai tempi, sopravvivere e non annegare, accettare come idee anche le assenze di idee, purché richiamino ascolto e accontentino gli inserzionisti. si cerca pertanto di copiare i formati più popolari, validi per le genti di ogni continente. sono le agenzie internazionali che informano e guidano le politiche dei canali. i programmisti vanno a colpo sicuro; che bisogno hanno di pensare, elaborare, inventare, cercare, quando la spazzatura importata funziona a meraviglia?
su tutto trionfa la novità che s’impone globalmente, il connubio virtuale tra realtà e spettacolo che ha fatto nascere l’ibrido ermafrodito, il mostro spiato dalle folle, il “reality show”.
chi conosce la produzione mondiale sa invece che essa è enorme e varia e non è fatta solo di prodotti di basso contenuto. esiste la qualità, in tutti i generi televisivi; sono prodotti altamente spettacolari che girano nei festival, che vanno in tivù e che addirittura riempiono le sale cinematografiche a pagamento. perché non abbiamo il coraggio di trasmettere questa qualità?
si pensi alle inchieste sull’america di michael moore e sulle “corporation” di achbar-abbat, e al recente documentario sui pinguini nell’antartide. si afferma che il documentario non richiami pubblico: e super quark di angela e report della gabanelli?
gli italiano non capiscono il linguaggio degli altri? l’umorismo gestuale del trio femminile inglese “smack the pony” è arrivato dappertutto, tranne che da noi.
le opere liriche, se riprese in teatro soffrono purtroppo di una staticità noiosa, ma, se girate come cinema o scompaginate in diretta (come tosca e traviata realizzate da andermann) hanno travolto milioni di spettatori in italia e in tutto il mondo. i programmi della canadese rhombus hanno trasformato persino le “performing arts” in fenomeno di massa. la poesia, che raramente fa capolino e viene ricacciata, ma che potrebbe essere sparsa dappertutto come una goccia di profumo, con la lettura del paradiso fatta da benigni (un monologo!) ha regnato in prima serata.
se poi andiamo nel campo dei film-tv e delle mini serie, il campo è ricchissimo di produzioni sconvolgenti, anche legate all’attualità, che hanno vinto premi: basti citare i lavori del britannico peter kosminski con “warriors” sulla depressione dei reduci dalla bosnia (e gli altri su blair, il ruanda…) e il grande affresco visivo della svedese agneta fagerström; con la serie “hamarkullen” ha ritratto con ricchezza visiva mozzafiato la nuova realtà multi-etnica in scandinavia data dall’immigrazione. devo affermare che in questo campo anche l’italia ha il suo posto di rilievo: “la meglio gioventù” di giordana, “la fuga degli innocenti” di pompucci, “il commissario montalbano” di sironi, “marcinelle” dei frazzi, “la guerra è finita” di gasparini sono stati premiati, acquistati e visti come opere di qualità.
sono eccezioni, si obbietta; ma i cataloghi delle rassegne internazionali sono strapieni di programmi eccezionali che potrebbero essere adattati all’italia e il servizio pubblico deve essere tutti i giorni un’eccezione di qualità. per fare incasso con contenuti volgari bastano le reti commerciali.
esaminiamo altri elementi di questa partita qualità-spazzatura.
chi ha pagato un abbonamento vuole un servizio, essere informato dei fatti, ma quando ascolta un notiziario, prima deve subire delitti senza castighi, pettegolezzi sui divi, barzellette dei politici, e poi… poi il tempo è tiranno e non c’è spazio per altre informazioni. sul tavolo di un direttore del tg ci sono centinaia di notizie e immagini (quante ne escono su un giornale stampato) e ne può scegliere quindici, venti al massimo. su cosa punta? litigio coniugale di un cantante (1’30”), concorso sul miglior culetto femminile per la pubblicità (1’45”) indiscrezioni sulla casa regnante (1’20”), marito ammazza la moglie che lo vuol lasciare (50”).
chi infarcisce i programmi, di questa cronaca, crede di fare un servizio a chi comanda, evitando gli scogli di problemi seri e blandendo i telespettatori. il risultato non è l’evasione: la cronaca nera dipinge il paese di anormalità e rende le persone inquiete e ansiose nel profondo (perché i fattacci restano nel sogno con un senso di paura) senza dare alcuna risposta positiva alle loro attese. l’esecrazione non moralizza, ma accresce il sospetto, e può provocare in alcuni insani l’emulazione al delitto, perché i particolari delle vicende sono raccontati crudamente, senza la mediazione artistica della letteratura. in questo modo le storie sia accadute, sia false (come quelle inventate dai redattori e interpretate dai figuranti nei salotti confessione, becere nei contenuti, nella forma e nella dizione) immiseriscono le persone al livello del marciapiede, di certo non arricchiscono l’animo di chi ascolta. ben altra cosa sono i veri racconti di vita, anche tragici e scabrosi ma dignitosi, proposti da giovanni anversa su raitre.
la cronaca deteriore contribuisce a frustrare le persone migliori: chi vuol emergere ed affermare preparazione, inventiva, serietà, vuol essere al corrente di opportunità ed incentivi e vorrebbe riconosciuta l’utilità sociale; nota invece che per andare in tivù bisogna essere furbi e imbroglioni, come quelli del quartierino, o mostri, come quelli della cronaca nera. vince la notorietà, non importa a quale titolo.
qui si arriva alla presunta centralità del divismo. se la tivù appare di volti noti, essa non è costruita dai volti noti. chi è presente in video, si prende la fama e il merito di una popolarità che è invero procurata da una macchina complessa; il successo del suo volto può essere il risultato delle sue capacità, ma solo se queste sono ben sfruttate e sostenute da un apparato che riesca a farne una figura mediatica. la bravura del presentatore da sola non basta.
la riuscita di un programma, e quindi della figura che lo rappresenta, è data dall’idea, da un’opportuna collocazione in onda, dalla squadra che lo realizza, dallo sforzo produttivo, dalla capacità direzionale di elaborare e correggere il messaggio, dalla campagna promozionale di sostegno. questo insieme di elementi non s’improvvisa, ma va composto traendolo da un mondo produttivo articolato, rodato, con una tradizione.
la rai ha la capacità di inventare i personaggi, prova ne è che, da quando esiste la competizione, tutti i divi che hanno traslocato alla concorrenza hanno prodotto risultati inferiori (con qualche fiasco) rispetto a quelli ottenuti con “mamma rai”, perché altrove non hanno avuto lo stesso supporto professionale. questo è accaduto anche a grandi personaggi che hanno fatto la storia della tivù. le baruffe sui nomi dei conduttori, in cui intervengono addirittura alcuni ministri, sono fuori bersaglio. si pensa che sia il personaggio a determinare il programma, mentre è vero il contrario, vedasi la successione bonolis-pupo.
perché allora non utilizzare queste capacità per costruire programmi con contenuti validi, invece di supportare l’alienazione di massa? bisogna avere il coraggio di scegliere le idee. gli esempi, che ho citato prima, dimostrano che lo sforzo potrebbe dare risultati positivi.
chi vincerà la partita? oggi la spazzatura trionfa, ma, come tutte le cose umane quando arrivano alla saturazione, già se ne intuisce il declino. se si vuol salvare il servizio pubblico, se ci si crede ancora, non c’è altra strada che quella della qualità.